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Giulia Sillato

Manifesto del metaformismo

Giulia Sillato di scuola Longhiana

Ricordo, che quando nel 1994 ebbi l’idea di un ciclo itinerante di rassegne d’arte con opere di autori viventi e lo intitolai “L’Arte Contemporanea nelle antiche dimore”, mai e in nessun istante, di un’elaborazione poi rivelatasi molto complessa, pensai di “sbattere” dentro a un rispettabile monumento qualsivoglia numero di artisti, veri o presunti.

La mia intenzione era del tutto critica e del tutto sperimentale: la metabolizzazione, avvenuta ormai da anni, dei contenuti di tutti i manifesti d’avanguardia che hanno fatalmente segnato la storia dell’arte del Novecento, mi spingeva sulla strada della sperimentazione, non come artista (o forse sì, visto che il critico viene da molti considerato un artista mancato), ma come storico. Scelta atipica, questa, perché la formazione longhiana mi imporrebbe un ambito di studio che non conosce avversari, mentre la mia naturale inclinazione andava, e va, nel verso opposto e quale sorpresa nel verificare che, contrariamente a fedi invalse nel mondo dell’arte antica, l’arte moderna può palesarsi, agli occhi scientifici di un longhiano, straordinariamente ricca di diaframmi e significati. E, munita delle metodologie acquisite dai miei studi pregressi, inizio a muovermi nel mondo contemporaneo, di cui intendo verificare subito due aspetti:

Da qui la non attualità della parola “informale”, legata a un epoca in cui il concetto di Forma non si era ancora sviluppato nella sua multivalente natura, come oggi continua ad accadere. E con questi precisi scopi, quale occasione può rivelarsi migliore di un impresa espositiva che metta i maestri di oggi direttamente a contatto con le nostre antichità? Presto però mi resi conto che l’idea non piaceva solo al suo autore, ma anche a chi, per nulla affatto preoccupato di stabilire nessi concettuali tra Antico e Moderno, tra Passato e Presente, si limitava ad imitare la mia idea per sola esigenza di clamore pubblicitario: è accaduto ai cosiddetti critici di chiara fama…

Il Metaformismo è l’approdo ultimo di questa lunga ricerca, svolta, attraverso la viva e diretta esperienza, sulle dinamiche differenziate nell’Arte Contemporanea Italiana, i cui rappresentanti, nel tempo, hanno raggiunto una loro compiutezza, distinguendosi, ciascuno, a forti tinte l’uno dall’altro, quasi un ritorno al Genio rinascimentale, una sorta di cerebrale post-rinascimento, insito nell’odierna espressione artistica. Il prefisso greco met£ ha due valenze di significato, entrambe sincroniche, intendendo il “dopo” e, al contempo, anche il “tra”, di luogo e di spazio, che, applicate al concetto di Forma, suggeriscono tutte le possibili trans-mutazioni di essa, dalla sostanza all’apparenza e viceversa.

Il vocabolo infatti è stato sinora utilizzato solamente nel vasto spettro della geologia che, come è noto, si occupa della terra e di tutti i fenomeni di vitalità della medesima: nell’arte viene introdotto, per la prima volta, da chi scrive e in questo momento. In tal ottica anche l’Impressionismo si può considerare un primo timido Metaformismo per il semplice fatto che, sradicata la Forma dalla sua collocazione secolare, resta un linguaggio fatto di possibili segni, ma soprattutto di colore e se poi, come frequentemente accade, l’artista decide di seguire l’esempio di Alberto Burri e utilizzare a scopo pittorico strumenti e materiali, che di per sé non lo sono, allora la dimensione metaformistica sarà totalizzante.

Con il Metaformismo non intendo istruire movimenti o correnti, intendo suggerire semplicemente un orientamento storico-critico che, per l’ampia gamma di sfumature semantiche, è sicuramente estensibile a tutte le fenomenologie d’urto del Novecento, incluse le variegate manifestazioni pittoriche — assolutamente prevedibile la presenza della Pittura — restando escluse per definizione stessa tutte le forme d’arte basate sulla rappresentazione del reale, largamente sostituite dalla virtualità.

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